La Crocifissione di Grunewald

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mathisgothartgrunewald
(clicca sull’immagine per ingrandirla)

La “Crocifissione” di Mathis Grunewald, fa parte di una pala di altare commissionata al pittore dall’Abate del monastero di Isenheim, Guido Guersi. Essa era destinata alla preghiera dei monaci antoniani e dei tanti malati che venivano pietosamente accolti nel monastero. Ho trovato una bella spiegazione che potrebbe essere utile per una lezione sull’argomento. La riporto qui sotto:


Illum oportet crescere. Me autem minui
(Gv 3,30): “Egli deve crescere e io diminuire” è il testo che campeggia sopra il grosso indice del Battista puntato sopra un Cristo sfigurato dal dolore che domina la scena per la sua grandezza e la drammaticità della sua condanna.
Il cielo oscuro dice l’impassibilità della storia di fronte a un simile dolore, ma dice anche il rimando cosmico della scritta latina.

Lo studioso Vetter attingendo ai discorsi di sant’Agostino e alla grande tradizione medioevale spiega così la popolare frase giovannea: le nascite del Battista e di Gesù corrispondono ai due solstizi: il percorso del sole cala (diminuisce) dalla festa di san Giovanni (24 giugno) a Natale e cresce da Natale a san Giovanni. Nel percorso del sole viene ad essere simboleggiato anche il passaggio dei due Testamenti: nel Battista abbiamo l’ultimo profeta dell’Antico e in Gesù il divino Fondatore del Nuovo. Tutto il dipinto di Grünewald può essere interpretato in chiave cosmica, infatti Maria, Giovanni l’evangelista e la Maddalena (di dimensioni più piccole rispetto a Gesù e il Precursore) rappresentano rispettivamente: la luna (diafana e ricurva nel cielo del dolore) circondata da un alone rosseggiante (la tunica di Giovanni) e la terra (la Maddalena) che attende da Cristo di essere riscattata dalla schiavitù del peccato e della morte (il vasetto di profumi per la sepoltura).

Illum oportet crescere. Me autem minui (Gv 3,30): “Egli deve crescere e io diminuire”. La concretizzazione più vera di questo assunto, Giovanni l’ha sperimentata il giorno dopo quando, esaurita la sua missione di precursore, i discepoli lo abbandonano per seguire Gesù, il vero Maestro, il Cristo: Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio!”. E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: “Che cercate?”. Gli risposero: “Rabbì (che significa maestro), dove abiti?”. Disse loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio (Gv 1,35-39).

Questa volta Giovanni non solo scorge, ma fissa lo sguardo in Gesù, lo indica nuovamente con quella forza che la successiva iconografia (e Grünewald in particolare) ha voluto significare in un indice vigorosamente puntato. I discepoli comprendono lo spessore dell’invito del loro maestro e seguono Gesù. A questo punto è Gesù stesso che introduce i discepoli entro un percorso di rinnovamento dello sguardo: venite e vedete. Venite e rimanete in quel luogo ove lo stupore si rinnova.
A questo mirava, in definitiva, anche la grande macchina scenografica dell’altare di Isenheim: far permanere il sofferente nello stupore di una storia di salvezza, quella del Verbo fatto carne, morto e risorto per noi, che fonda nella certezza anche la storia delle quotidiane sofferenze dell’uomo.

Fonte: Adoratori Missionari dell’Unità

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