Quest’anno è scoppiata la moda dell’Avatar, un tempo parola quasi sconosciuta, oggi anche il più giovane dei miei alunni sa che cosa è un avatar, o meglio crede di saperlo. Avatar è una parola sanscrita che significa sostanzialmente “scendere giù” e nella religione indù indica una incarnazione divina, una presenza terrena, di uno dei tanti dei che popolano il pantheon induista. Ma per la maggior parte degli utenti della rete, “avatar” è solo un’immaginetta che ci assomiglia, o più banalmente, il recente film in 3D di James Cameron, che ha fatto molto parlare di sè per gli effetti speciali, ma soprattutto per i tempi e i costi di produzione.
Si comincia a parlare di avatar digitale, con i mondi virtuali, che “donano” ai loro abitanti poteri e facoltà che nella vita reale non avrebbero. Un avatar può camminare, parlare (azioni normali, ma non per chi è immobilizzato su una sedia a rotelle o non riesce a parlare), ma anche volare, uccidere e rinascere. Si è discusso e si discute ancora oggi, su come l’avatar e la seconda vita, possano essere usati in modo distorto, come una maschera che si indossa o come una fuga dalla realtà e dagli obblighi di tutti i giorni (il lavoro, gli affetti…). D’altra parte l’avatar è anche un modo scherzoso di presentarsi agli altri, simile per certi versi ad un altra maschera, quella del clown, e in questo senso assume una connotazione ludica rispettabilissima. Il rapporto con il proprio “doppio” digitale è stato studiato da Robbie Cooper, che ha scritto un libro “Alter Ego”, analizzando diverse personalità di “online gaming”, cioè di giocatori dei mondi virtuali, in rapporto al loro avatar. Dagli Stati Uniti all’Asia, Cooper spiega i diversi modi di rappresentazione virtuale attraverso gli avatar, per arrivare alla conclusione che limiti e potenzialità sono insiti in tutte le nuove forme di comunicazione.
Recentemente mi sono fatto un’idea di un uso corretto dell’avatar in ambito educativo, leggendo una recensione di Scuola 3D, il mondo virtuale tutto italiano, dedicato alla scuola e ambiente protetto per i più piccoli; due scuole primarie hanno messo in atto un gemellaggio virtuale, ma prima di incontrarsi nel mondo in 3D con un proprio avatar, i bambini delle due scuole si sono conosciuti attraverso una webcam e poi hanno costruito una loro immagine digitale che rispecchiasse il loro aspetto fisico. A quei bambini è stato insegnato che dietro ad una avatar c’è sempre una persona, che bisogna rispettare l’altro senza ingannarlo, anche se si tratta di vita digitale, che per creare un avatar bisogna avere la consapevolezza di come si è, del proprio corpo, dei propri pregi e difetti.
Esperienze di casa nostra, che però dovrebbero essere conosciute ed esportate anche altrove.
Fonte: iEducAzione
Leggendo il commento di Mons. Pompili mi sono trovata perfettamente in linea col suo pensiero. La grande sfida sarà passare “dal fare” rete “all’essere” rete, dalla connessione alla relazione…
Per questo il 24 aprile non sarà un optional esserci, ma un preciso impegno…
beato chi potrà esserci!
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Mi spiace Miriam, spero che qualcuno rinunci e faccia posto a te e a Maria Elisa…
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