Le difficoltà dell’apprendimento

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Generazione di svogliati, disattenti, bulli, che finiscono per essere bocciati e ripetere più volte una stessa classe. E’ la fotografia, per fortuna non estesa a tutti, degli alunni della scuola italiana di oggi, tra realtà ed amplificazione. Il problema comunque esiste, oggi come ieri, e non solo in Italia. “Perchè mi bocci?” è il titolo di un convegno organizzato dall’ADI (Associazione Docenti Italiani), alla fine dello scorso febbraio. Tema centrale la personalizzazione dell’apprendimento, in una scuola che può diventare sempre più inclusiva se al suo interno cerca di mettere in atto alcune strategie:

– un’ équipe educativa coordinata e cooperante in modo formale e informale
– un’ équipe di consulenti
– la presenza di pratiche di apprendimento cooperativo
– una particolare attenzione ai bisogni degli allievi
– la pianificazione e la concertazione
– la formazione continua
– la valutazione degli interventi
– molte risorse umane

Non basta dunque il ritorno alla disciplina e alla severità, da più parti invocate come la panacea della scuola, serve anche altro. Lo aveva già intuito Sant’Agostino, che nelle sue “Confessioni” racconta la sua esperienza di alunno e le difficoltà di un apprendimento imposto e non voluto. Parole che hanno ancora oggi conservano uno spessore e un significato importante per insegnanti ed educatori.

Perché dunque odiavo la letteratura greca, che pure non è da meno quanto a poemi? Indubbiamente anche Omero è un sapiente tessitore di favole, deliziosamente leggero. Eppure da bambino mi riusciva indigesto. Credo che questo succeda anche ai bambini greci con Virgilio, se sono costretti a studiarlo come lo ero io con Omero. Era la difficoltà, nient’altro che la difficoltà di apprendere una lingua straniera a cospargere come di fiele tutte le greche delizie di quelle narrazioni favolose. Io non sapevo una parola di greco, e mi assillavano furiosamente perché lo imparassi, torturandomi con la minaccia di terribili castighi. C’è stato un tempo, nella primissima infanzia, in cui neppure di latino sapevo una parola: e tuttavia m’è bastata un po’ d’attenzione a impararlo, senza spaventi e torture, anzi fra le carezze delle balie e i loro giochi e le risa. L’ho imparato senza esservi incalzato sotto il giogo della disciplina, quando era il mio cuore a incalzarmi perché dessi alla luce quello che concepiva: il che non sarebbe avvenuto, se alcune parole non le avessi imparate non dagli insegnanti, ma da altri parlanti con le orecchie pronte ad accogliere tutto ciò che mi veniva in mente e che io vi riversavo. E questa è un’illustrazione abbastanza chiara della maggior efficacia che la libera curiosità ha rispetto a un pavido affannarsi sotto costrizione, per quanto riguarda questo genere di apprendimento.
S.Agostino (Confessioni 14.23)

Fonte del post: iEducAzione
Fonte Immagine: Wikimedia



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Commenti

  1. miriam scrive:

    Le difficoltà dell’insegnamento!
    “Insegnare vuol dire sedurre, il docente deve trasmettere passione” sono perfettamente d’accordo com questa affermazione di Nuccio Ordine. Ma mi chiedo quanti docenti sono veramente così altamente motivati? Quanti sanno infiammare gli studenti che hanno davanti? Ciascuno di noi sa bene quanto l’inclinazione per quella particolare materia , sia stata determinata dall’abilità dell’insegnante, e il ricordo permane nel tempo…

  2. Luca scrive:

    Si Miriam questo è il punto, l’acquisizione di contenuti e il piacere nel seguire una materia, sono sempre fonte di una mediazione che è quella dell’insegnante… E’ un mestiere difficile e proprio per questo gli insegnanti andrebbero selezionati con più attenzione e severità…

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