Come educatori e testimoni nel mondo digitale credo ci dobbiamo porre il problema di come essere presenti nel mondo del web e soprattutto nei Social Network, dove le nostre attività sono monitorate e rese pubbliche in ogni istante della giornata. Nel più popolare Social Network del momento cioè Facebook, non si contano più i cattolici, laici, religiosi, secolari che hanno scoperto e sono entrati entusiasticamente in questo mondo della rete sociale.
Una volta si parlava genericamente di Netiquette cioè di un “insieme di norme di comportamento in rete volte a favorire la convivenza e a promuovere il rispetto reciproco”. Nel web 1.0 si riferiva ad esempio un certo comportamento da tenere nell’inviare delle mail, oppure sui forum o nelle chat. Con i Social Network le regole sono cambiate e viene da chiedersi se alla parola “Netiquette” non si debba sostituire quella di “Facetiquette”, cioè di un comportamento corretto di usare la nostra faccia e il nostro nome, perchè poi di questo si tratta, nell’intrattenere relazioni con altri, specialmente con i più giovani. In una testimonianza verace e autentica anche in rete, non è però sufficiente il “bon ton” o se vogliamo la “Facetiquette”, da osservare quando si inviano messaggi o si condividono video. E’ qualcosa di più a mio avviso. Si tratta di offrire un testimonianza di vita, di coerenza, di fede adulta, e non il “fanciullino”, per dirla alla Pascoli, che è dentro ciascuno di noi e che in rete paradossalmente riemerge più che nella vita “reale”. Facebook non è un gioco e tutto ciò che facciamo, diciamo, esprimiamo a parole e non, viene visto, ascoltato, letto da tutti coloro che sono nella nostra rete. Bisogna “essere” innanzitutto per “condividere”, o meglio, condividiamo ciò che siamo.
Ha fatto bene il Papa nel suo messaggio per la 44ª giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali, a mettere in guardia contro il “rischio di un’utilizzazione dettata principalmente dalla mera esigenza di rendersi presente, e di considerare erroneamente il web solo come uno spazio da occupare”.
Di questo credo proprio che a volte si tratti.
Fonte: iEducazione